Test genetici e sport: è possibile prevenire la morte improvvisa?

Chiunque, tifoso o no, è rimasto sconvolto da quanto accaduto durante la partita Danimarca – Finlandia degli Europei tutt’oggi in corso. Un giocatore della nazionale danese, Christian Eriksen, si è accasciato al suolo a causa di un arresto cardiaco. Provvidenziali sono stati l’intervento tempestivo in primis dei compagni e successivamente dell’equipe medica specializzata, che grazie anche all’ausilio del defibrillatore automatico esterno (DAE), gli hanno salvato la vita.

Sebbene questo episodio abbia avuto un lieto fine, purtroppo sono molti i casi in cui invece l’esito è infausto.

E dunque viene da chiedersi: era possibile prevedere questo evento? Qual è lo stato dell’arte della prevenzione della morte improvvisa nello sport?

E in tutto questo, cosa c’entra la genetica?

Come viene definito un evento di morte improvvisa nello sport?

Anche se tutt’oggi non esiste una definizione accettata universalmente, la “morte improvvisa” può essere definita come una morte inaspettata che avviene durante o subito dopo (1-3h) un esercizio fisico.

Un po’ di statistiche…

È difficile stabilire un’incidenza precisa degli eventi di morte improvvisa nella popolazione generale e tra gli atleti a causa del fatto che in letteratura esistono numerosi studi con risultati che hanno un’ampia variabilità, che va da 0.12 eventi su 100.000 persone all’anno nella popolazione generale adulta a un’incidenza di 6.64/100.000 tra gli atleti agonisti tra 35 e 49 anni. Tale variabilità è influenzata da parametri quali l’età, il sesso, l’etnia, il tipo di sport praticato, ma anche da bias statistici come il campione di riferimento, la popolazione target e la definizione dell’evento.

Secondo una recente ricerca epidemiologica italiana sul web, nel 2019 l’incidenza degli eventi di morte cardiaca improvvisa (SCD) è stata di 0.47/100.000 persone all’anno (1/100.000 negli atleti agonisti e 0.32/100.000 in quelli non agonisti), con un rischio aumentato di circa 10 volte per i maschi rispetto alle femmine.

Anche i dati sulla sopravvivenza in seguito ad un evento di arresto cardiaco improvviso sono molto variabili con percentuali che vanno da 3.4% a 22%, ma spesso con danni neurologici permanenti e bassa qualità di vita.

Secondo uno studio epidemiologico della FIFA condotto tra il 2014 e il 2018, solamente il 23% degli atleti di calcio che hanno avuto un arresto cardiaco improvviso sono sopravvissuti.

Ma quali sono le cause degli eventi di morte improvvisa?

La morte improvvisa può avere sia origini cardiache dovute, ad anomalie strutturali o funzionali del cuore che origini non cardiache, dovute a malfunzionamenti del cuore secondari ad un’altra causa primaria. Tra le anomalie cardiache strutturali più comuni vi sono la cardiomiopatia ostruttiva ipertrofica, la cardiomiopatia dilatativa, l’ipertrofia del ventricolo sinistro e anomalie delle arterie coronarie. Tra le anomalie cardiache funzionali distinguiamo invece la sindrome di Brugada, la sindrome del QT lungo congenita o acquisita, la fibrillazione ventricolare e le canalopatie (scopri qui altre informazioni su queste malattie genetiche). Le forme non cardiache possono invece essere dovute a emorragie cerebrali, utilizzo di droghe, embolia polmonare, ipertermia e rabdomiolisi.

Negli atleti di età superiore ai 35 anni, le anomalie delle arterie coronarie (compresa l’aterosclerosi) sembrano essere la principale causa di morte, mentre negli atleti al di sotto dei 35 anni, le principali cause di morte derivano da una predisposizione ereditaria e sono la cardiomiopatia ipertrofica, l’ipertrofia ventricolare sinistra e la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro.

Prevenzione: qual è lo stato dell’arte?

Per la prevenzione della morte improvvisa esistono ad oggi diverse indicazioni:

  1. La corretta esecuzione dello screening cardiovascolare pre-competizione;
  2. Il test genetico, ma solo per gli atleti che appartengono a famiglie ad alto rischio;
  3. L’utilizzo dei defibrillatori impiantabili negli atleti con una diagnosi di aritmia maligna;
  4. La riduzione dell’utilizzo di farmaci e la correzione della dieta;
  5. Evitare sforzi estremi;
  6. La ricerca precoce dei fattori di rischio per le malattie delle arterie coronarie;
  7. La presenza di un team medico pronto ad intervenire e del defibrillatore esterno (AED).

Sicuramente, uno degli step più importanti è lo screening cardiovascolare che comprende una prima fase di anamnesi per indagare la storia personale passata e presente, la storia familiare, la presenza di sintomi cardiaci e l’utilizzo di farmaci e una seconda fase che si basa sull’esame fisico dell’atleta e che include diversi esami diagnostici, tra cui l’elettrocardiogramma a 12 derivazioni e la diagnostica per immagini (ecografia cardiaca o risonanza magnetica).

L’Italia è uno dei pochi paesi che consiglia l’esecuzione di questo screening a tutti gli atleti agonisti, e la sua lunga esperienza ha dimostrato efficacia nell’identificare le malattie cardiovascolari potenzialmente letali.

E in tutto questo la genetica che ruolo riveste?

Come detto precedentemente, negli atleti in cui vengono identificate lievi anomalie cardiache, o che hanno una storia familiare positiva è consigliata l’esecuzione del test genetico. Ma di cosa stiamo parlando?

Esistono delle forme di cardiomiopatie ereditarie (approfondisci qui) che derivano da mutazioni in specifici geni che codificano per proteine funzionali o strutturali del cuore. Alcune di queste cardiomiopatie come quella dilatativa o quella ipertrofica hanno generalmente una trasmissione autosomica dominante, mentre nella sindrome del QT lungo, del QT corto e la tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica possono avere trasmissione autosomica dominante, recessiva, X-linked, e in alcuni casi mitocondriale.

Il principale problema di questo tipo di patologie è che oltre ad essere caratterizzate da variabilità genotipica (sono noti molti geni associati a queste condizioni), sono caratterizzate da variabilità fenotipica e spesso le forme dominanti presentano penetranza incompleta. Dall’altro lato però si tratta di patologie molto subdole, che spesso si manifestano in primis con la morte improvvisa e per cui la diagnosi avviene sempre troppo tardi.

Dunque, se il test genetico è in grado di evidenziare alcune di queste malattie non ancora manifeste e prevenire la morte improvvisa, per quale motivo non viene eseguito uno screening a tappeto, soprattutto tra gli atleti?

Sebbene il test genetico abbia un forte potenziale nella prevenzione di queste patologie, nella pratica clinica è ancora molto poco utilizzato.

In primis a causa di limiti tecnici, dato che esistono pochi laboratori in grado di eseguire un’analisi completa di tutti i geni implicati e di fornire risultati utili.

Il secondo problema è che purtroppo in molti pazienti non viene identificata la mutazione causativa (bassa detection rate) e risultati inconclusivi possono essere dannosi dal punto di vista etico e metterebbero in difficoltà il medico responsabile dell’interpretazione dei risultati. E poi non bisogna in alcun modo sottovalutare la presenza delle varianti di significato incerto, ovvero quelle varianti rare di cui però non è stata dimostrata in via definitiva né la patogenicità, né la non patogenicità.

Vi è poi un problema dal punto di vista bioetico: è giusto limitare la vita e la libertà di un atleta che non manifesta sintomi?

Infine c’è un problema di costi: non solo per quanto riguarda l’accesso al test genetico, che negli ultimi anni si è ridotto notevolmente, ma anche per il follow-up diagnostico a cui dovrebbe essere sottoposto un individuo e/o i suoi familiari, con oneri non indifferenti per il sistema sanitario nazionale.

E tu cosa ne pensi? L’applicazione dei test genetici nell’ambito della prevenzione della morte improvvisa potrebbe essere una buona strategia o i rischi sono maggiori dei benefici?

La nostra opinione?

Secondo Breda Genetics, il test genetico dovrebbe essere consigliato perlomeno a tutti gli atleti agonisti, solamente in seguito ad una consulenza genetica approfondita nella quale, oltre a raccogliere i dati anamnestici del paziente, vengono spiegati i limiti tecnici dell’analisi, la possibilità di non trovare alcuna mutazione e la possibilità di incontrare una variante di significato incerto, con la relativa interpretazione.

Breda Genetics offre l’analisi di tutti i geni associati a morte improvvisa in tempi rapidi nel suo pannello:

Pan143 – Morte improvvisa (ABCC9, ACTN2, AKAP9, ANK2, CACNA1C, CACNA2D1, CACNB2, CALM1, CALM2, CALM3, CASQ2, CAVIN1, CAV3, CSRP3, CTNNA3, DES, DPP6, DSC2, DSG2, DSP, DTNA, FBN1, FGF12, GJA5, GPD1L, HCN4, JPH2, JUP, KCNA5, KCND2, KCND3, KCNE1, KCNE2, KCNE3, KCNE5, KCNH2, KCNJ2, KCNJ5, KCNJ8, KCNQ1, KLHL24, LAMP2, LDB3, LMNA, LRP6, MYBPC3, MYH6, MYH7, MYL2, MYL3, MYLK2, MYOZ2, NEXN, NPPA, NUP155, PKP2, PLN, PRKAG2, RANGRF, RBM20, RYR2, SCN10A, SCN1B, SCN2B, SCN3B, SCN4B, SCN5A, SCN10A, SEMA3A, SLMAP, SNTA1, TANGO2, TECRL, TCAP, TGFB3, TGFBR2, TMEM43, TNNC1, TNNI3, TNNT2, TPM1, TRDN, TRPM4, TTN, VCL)

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