Esoni codificanti e non-codificanti nella struttura dei geni
I geni sono la parte codificante del genoma, ma rappresentano solamente il 2% dell’intero DNA. Nonostante questo, la vasta maggioranza delle mutazioni patogene che causano malattie rare (fino all’85%) cade all’interno dei geni. I geni hanno una struttura ben definita: sono costituiti da esoni, che rappresentano la parte codificante, che si alternano agli introni, che rappresentano la parte non codificante. I geni sono preceduti da un promotore, che ne controlla la trascrizione. La maggior parte possiede anche regioni regolatorie a monte e a valle, nelle cosiddette UTR (regioni non tradotte) denominati rispettivamente 5′-UTR e 3′-UTR. Tali regioni contengono sequenze fondamentali per l’espressione genica, detti CRE (elementi regolatori che agiscono in cis).
Anche se la maggior parte degli esoni di un gene (che sono regolarmente sequenziati quando si esegue il sequenziamento dell’intero esoma -whole exome sequencing- o il sequenziamento dell’intero genoma -whole genome sequencing-) codifica per la proteina finale, alcuni di essi potrebbero non essere codificanti.
Dove si trovano gli esoni non-codificanti?
Gli esoni non-codificanti si trovano all’inizio e/o alla fine del gene. Quando sono all’inizio del gene, si trovano prima del codone di inizio della traduzione (ATG). In alcuni casi, l’ATG stesso si trova nel mezzo di un esone non codificante, dividendolo in una parte coding e in una non-coding.
Perchè esistono gli esoni non-codificanti?
Gli esoni non-codificanti possono contenere alcuni elementi regolatori che modulano l’espressione proteica, come enhancers, silencer o piccoli RNA non codificanti (miRNA). Inoltre, gli esoni non-codificanti possono comprendere alcune sequenze che sono il target dei fattori di inizio della traduzione, che accelerano o rallentano la traduzione dell’mRNA controllando l’espressione delle proteine in uno specifico tipo cellulare o tissutale. Infine, sono coinvolti nel mantenimento della stabilità dell’mRNA e della sua emivita.
Esistono mutazioni patogene negli esoni non-codificanti?
La maggior parte dei kit di cattura utilizzati per il sequenziamento dell’intero esoma non include sonde per coprire le porzioni non codificanti del genoma, come le regioni introniche profonde e alcuni degli esoni non-codificanti. Piccole varianti (che cambiano un solo nucleotide, o inserzioni/delezioni di poche basi) che cadono in queste regioni, sono presumibilmente non patogene, dato che l’errore non può essere trasmesso alla proteina vista la mancanza della traduzione. Tuttavia, mutazioni di dimensioni maggiori, chiaramente patogene, come ad esempio grandi delezioni o duplicazioni, possono comprendere il promotore o altri importanti CRE estendendosi in alcuni casi fino a includere anche gli esoni non-codificanti in zona 5′-UTR. Esempi di mutazioni di questo tipo sono stati riportati per alcuni geni, come CDKL5 (che causa un fenotipo Rett-like con epilessia) ed EYS (che causa retinite pigmentosa autosomica recessiva).
Riassumendo, si presume che mutazioni puntiformi negli esoni non-codificanti non siano patogene. Tuttavia, lgrandi delezioni o duplicazioni che comprendono il promotore e sono quindi patogene, possono estendersi anche agli esoni non-codificanti. Quindi, se il sequenziamento delle regioni non codificanti può essere considerato non di primaria importanza, per lo meno in alcuni geni, si potrebbe prendere in considerazione lo studio delle CNV (copy number variation), tramite test molecolari mirati (MLPA, qPCR) o attraverso l’analisi algoritmica delle CNV basata sui dati NGS.
Citazioni
- Clinvar database: “CDKL5”
- Eisenberger et al (2014) – Increasing the yield in targeted next-generation sequencing by implicating CNV analysis, non-coding exons and the overall variant load: the example of retinal dystrophies. PLoS One. 2013 Nov 12;8(11):e78496.